23 Maggio 1992 – 23 Maggio 2017

Lo svincolo di Capaci dopo l’esplosione.

E’ il 23 Maggio del 1992, un sabato, e il giudice Giovanni Falcone, insieme alla moglie Francesca Morvillo, sta tornando a Palermo da Roma, dalla capitale, come è solito fare per il weekend. Parte da Roma alle 16:45 e dopo circa un’ora di viaggio, attera a Punta Raisi alle 17:48. Si mette alla guida di una delle auto che lo aspettano e insieme prendono l’autostrada A29 che collega la città del giudice con Trapani; imboccano l’autostrada verso Palermo; sono le 17:58 quando, all’altezza dello svincolo per Capaci, Cosa Nostra commette il suo delitto: un quintale di tritolo fa saltare in aria il giudice Falcone, la moglie e tutta la scorta. “Orrore, ucciso Falcone”, così appare la prima pagina de Il Corriere della Sera del giorno seguente. Palermo, la Sicilia, l’Italia intera sono scosse: è morto uno dei Nemici numero uno di Cosa Nostra. Rimane il giudice Borsellino: 57 giorni dopo, domenica 19 Luglio, in via D’Amelio, l’esplosivo è pronto anche per lui e compie un disgraziato ottimo lavoro. Per Falcone e Borsellino si tengono delle vere e proprie celebrazioni ad hominem. Tutta Palermo si reca ai loro funerali per onorare il loro servizio reso alla Società, per dirgli grazie del lavoro compiuto in aiuto di tutti i cittadini, per far sì che il cancro della mafia smetta di corrompere quest’isola e la sua gente. La gente si sveglia finalmente e capisce la gravità dell’accaduto e il lavoro dei due magistrati. Infatti Falcone è stato uno degli acerrimi nemici della mafia siciliana e , insieme agli altri membri del pool antimafia (tra cui lo stesso Borsellino, Caponnetto, Chinnici, Di Lello, e altri), è riuscito ad avviare il famosissimo “Maxiprocesso di Palermo”, il più famoso processo penale della storia che vide imputate ben 475 persone.

Visione dall’alto di via D’Amelio in seguito all’attentato nei confronti del giudice Borsellino..

Grazie a questo processo, il pool di magistrati riuscì a dare un colpo assai duro a Cosa Nostra e tutto ciò determinò anche la loro condanna da parte della stessa organizzazione. Infatti, Falcone e Borsellino erano diventati fin troppo pericolosi e la mafia, dopo una riunione della Cupola a Castelvetrano, decise di mettere fine a questa “seccatura”. I due furono isolati dai giornali, dai colleghi, anche da quella stessa Palermo che li avrebbe onorati ai loro funerali; e infatti, rimasti soli, divennero sempre più vulnerabili, finché non furono uccisi dal tritolo. A venticinque anni da quella data, noi tutti siamo ancora affascinati da questi due personaggi e il nostro dovere di cittadini ci impone di seguire il loro esempio. Diceva Falcone:”A questa città vorrei dire: gli uomini passano, le idee restano. Restano le loro tensioni morali e continueranno a camminare sulle gambe di altri uomini.” Il nostro dovere consiste proprio in questo: far sì che le idee di quegli uomini, che con abnegazione hanno lottato contro la criminalità organizzata, non svaniscano, bensì continuino a camminare sulle nostre gambe. Solo così è possibile scardinare quest’organizzazione criminale che imbruttisce la nostra bella terra. Capaci e via D’Amelio, allora devono servire da monito per tutti coloro che sono impegnati nella lotta contro la mafia, affinché seguano l’esempio di questi due eroi. Purtroppo, la mafia continua ad infestare ancora oggi le nostre città e contro di lei ci sono ancora, fortunatamente, persone che non si sono dimenticate di Giovanni e Paolo e si prodigano nella lotta contro Cosa Nostra; un valido esempio è il giudice Di Matteo, il quale, nonostante molti contrasti, continua le sue indagini e il suo lavoro per rendere la Sicilia un posto migliore. Capaci e via D’Amelio devono continuare ad animare i palermitani, affinché la rabbia e la determinazione alla lotta nate all’indomani delle stragi non si dissolvano, ma continuino a smuovere le loro coscienze e fungano da causa mobilitante di una seria riforma socio-culturale che veda nel mafioso non più un “uomo d’onore”, ma un criminale che si copre di falsa devozione religiosa, nel tentativo effimero di riscatto della propria anima corrotta. Non è così che tu, mafioso, riscatti la tua anima: se vuoi arrivare ad un riscatto ultraterreno, devi prima passare dal riscatto terreno; devi passare dalla giustizia e scontare la giusta pena per le tue azioni! Quell’entusiasmo misto a rabbia deve allora dare inizio ad un’azione sociale significativa. Diceva Borsellino:”La lotta alla mafia dev’essere innanzitutto un movimento culturale che abitui tutti a sentire la bellezza del fresco profumo della libertà che si oppone al puzzo del compromesso morale, dell’indifferenza, della contiguità e quindi della complicità.” Quando riusciremo a sentire quel “fresco profumo della libertà”? Da troppo tempo quel “puzzo del compromesso ” sta infettando l’aria fresca della nostra terra e da troppo tempo stiamo accettando passivamente un destino che ci è stato imposto senza che noi lo volessimo. Stiamo accentando un morbo che sta distruggendo l’organismo sociale e statale dall’interno, giacché Cosa Nostra è riuscita persino ad infiltrarsi negli organi dello Stato. E noi non possiamo più sopportare questa condizione: ci stiamo ribellando a questa tirannia, ci stiamo sottraendo al giogo della mafia; sarà una lotta dura che durerà molto, ma come affermava Falcone:”La mafia è un fenomeno umano e come tutti i fenomeni umani ha un principio, una sua evoluzione e avrà quindi anche una fine. Spero solo che la fine della mafia non coincida con la fine dell’uomo.” Ecco, un fenomeno umano…questo è Cosa Nostra e come tale si estinguerà. Siamo palermitani, siamo italiani, siamo cittadini, siamo uomini e in quanto tali siamo dotati di ragione e la nostra ragione ci impone di sottrarci alla schiavitù del compromesso. Falcone e Borsellino, non ci siamo dimenticati di voi…continuerete sempre a vivere nelle nostre coscienze come due eroi dei nostri tempi, due martiri dello Stato italiano libero.

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